fallimento impresa

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valebene
00martedì 9 settembre 2003 08:41
Un'impresa fallisce durante l'esecuzione di un lavoro pubblico.

Nonostante la dichiarazione di fallimento, l'amministratore unico della stessa impresa incassa (a circa 3 mesi dalla sentenza) una somma dalla P.A. per i lavori in corso.

A norma del T.U. sul fallimento ogni pagamento effettuato dopo la sentenza è nullo.

La P.A. viene a conoscenza (tramite il curatore fallimentare) del fallimento dopo pochi giorni dall'avvenuto pagamento.

1) la P.A. deve effettuare nuovamente il pagamento al curatore?

2) l'azione di recupero contro l'Amministratore che ha fraudolentamente incassato la somma, la deve promuovere la P.A. o il curatore?

cicolex
00martedì 9 settembre 2003 09:57
I pagamenti ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento
sono inefficaci ex art. 44 l. fall. non trovando applicazione in tale
ipotesi il principio di buona fede del "solvens" cristallizzato
nell'art. 1189 c.c., di talche' il "solvens" stesso non puo' opporre
l'ignoranza della dichiarazione di fallimento per conseguire effetti
liberatori nei confronti della massa fallimentare ed e' tenuto a
rinnovare l'adempimento nei confronti della curatela.

Tribunale S.Maria Capua V., 30 ottobre 1998

P.S in materia sono moooooooolto arrugginito....
Antosenior
00martedì 9 settembre 2003 10:07
Se la P.A. ha pagato dopo la pubblicazione della sentenza ha fatto male!
Premesso che gli atti compiuti dal fallito sono inefficaci e non nulli (art. 44, L.F.), bisogna vedere se il curatore ha "ricevuto" il pagamento effettuato nelle mani del fallito.
Se non lo ha ricevuto, sarà necessario pagare nuovamente il curatore e agire (la P.A.) per la ripetizione nei confronti dell'amministratore che l'ha ingannata. Il tutto a rischio e pericolo della P.A. che doveva essere più attenta!

valebene
00martedì 9 settembre 2003 11:29
già ... più attenta

Ma nella pratica diventa forse un po' difficile perchè dopo il predetto caso, abbiamo deciso di pretendere un certificato del Tribunale fallimentare che attesti la mancanza di procedure di fallimento ecc. ma detto certificato ha validità 3 mesi per cui poi le imprese si lamentano che magari, dovendo ricevere un pagamento dopo un mese soltanto, devono presentarne un altro.

Allora fanno l'autodichiarazione, ma se uno incassa una somma sapendo che è un reato penale, figurarsi che si preoccupa di una falsa dichiarazione!!!

In effetti poi, per quanto riguarda l'azione della P.A., anch'io propendo più per un nuovo pagamento ed un'azione per il recupero delle somme incassate in modo fraudolento.

Però per una P.A. non è facile giustificare un nuovo pagamento anche perchè si tratta di un mutuo ed alla Cassa DD.PP. si dovrebbe giustificare la richiesta di una nuova erogazione.

A meno ovviamente riconoscere di aver sbagliato, pagare con fondi propri e ricercare chi non ha vigilato a sufficienza.

Il dirigente dell'area tecnica? [SM=g27833] Il dirigente di ragioneria?[SM=g27833] Il responsabile del procedimento ai sensi della 109/94? [SM=g27826] (sono io sigh[SM=g27812] )
Antosenior
00martedì 9 settembre 2003 11:38
Mi spiace per la situazione che si è creata, in effetti è un po' delicata.
In ogni caso, sarebbe opportuno trovare un sistema di collegamento diretto con la cancelleria del Tribunale o con il Registro delle imprese per essere informati in tempo reale sulle varie procedure in corso. Sarà un sistema dispendioso, ma è sempre meglio che rischiare di pagare due volte!
Per quanto riguarda la responsabilità, va precisato che se la P.A. ha agito in modo diligente (p.e. avendo un recente certificato del tribunale fallimentare), la perdita potrà essere imputata all'Ente nel suo complesso senza responsabilità per i dipendenti.
lillo1
00martedì 9 settembre 2003 23:03
vale, che angoscia ..! stavo pensando che nessuno (almeno tra quelli che io conosco) chiede un certificato al tribunale per verificare l'assenza di procedure fallimentari in corso prima di pagare un s.a.l. Anche perchè ci sentiremmo dire che aggraviamo inutilmente il procedimento ... visto che i tempi del tribunale non sono proprio esemplari .. quindi è un casino che potrebbe capitare a chiunque, quello che hai evidenziato. Certo, l'idea di istituire dei meccanismi di collegamento automatico, suggeriti dall'ultimo intervento è ottimo.. senonchè certi tribunali lavorano ancora con la piuma d'oca ... altro che connessioni telematiche. E il povero responsabile del procedimento risponde di tutto ...
marco panaro
00venerdì 9 novembre 2007 20:29
Cassazione Sezione Lavoro n. 22304 del 24 ottobre 2007, Pres. Sciarelli, Rel. De Renzis
In materia di appalto l’apertura del procedimento fallimentare nei confronti dell’appaltatore non comporta l’improcedibilità dell’azione precedentemente esperita dai dipendenti nei confronti del committente, ai sensi dell’art. 1676 cod. civ., per il recupero dei loro crediti verso l’appaltatore – datore di lavoro, atteso che la previsione normativa di una tale azione risponde proprio all’esigenza di sottrarre il soddisfacimento dei crediti retributivi al rischio dell’insolvenza del debitore e che, d’altra parte, si tratta di un’azione “diretta”, incidente, in quanto tale, direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito; deve pertanto escludersi che il conseguimento di una somma, non facente parte del patrimonio del fallito, possa comportare un danno delle ragioni degli altri dipendenti dell’appaltatore che fanno affidamento sulle somme dovute (ma non ancora corrisposte) dal committente per l’esecuzione dell’opera appaltata.
La ratio dell’art. 1676 cod. civ. va individuata nell’esigenza di garantire agli ausiliari dell’appaltatore – proprio in relazione ad una attività lavorativa prestata per l’esecuzione dell’opera o del servizio appaltati al loro datore di lavoro – il pagamento della retribuzione dovuta per quella determinata attività, in modo da sottrarre il soddisfacimento del relativo diritto al rischio dell’insolvenza del debitore, dando la possibilità di agire direttamente nei confronti del committente.
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